BENE COMUNE o BENI COMUNI?


La tradizione antica e medievale affermava che solo la ricerca del bene comune di un popolo giustifica l’esistenza della dirigenza politica. S. Agostino in particolare sosteneva che, quando la giustizia non domina le relazioni sociali e politiche, i regni e coloro che li guidano sono da considerare solo una banda di ladri, “magna latrocinia” (De civitate Dei 1.4, c.4).

Il bene comune era un concetto globale riguardante il benessere materiale e spirituale di un popolo: era un’idea facilmente intuibile da tutti, ma, di fatto, in società ancora non caratterizzate dalla struttura democratica, era il sovrano che concretamente decideva nelle diverse situazioni quale fosse il “bene comune” e con quali mezzi si potesse raggiungere.

Questo carattere indeterminato di bene comune con il passare del tempo è apparso vago e inadeguato e ad esso sono state contrapposte teorie politiche moderne (come quella di Machiavelli) centrate sul tema del potere inteso come la vera essenza dell’attività politica.

La riflessione teologica dell’ Ottocento e soprattutto quella del Concilio ecumenico Vaticano II hanno ripreso il concetto di bene comune approfondendolo e precisandolo: il “bene comune” è  un insieme di condizioni di tipo giuridico e sociale che rende possibile lo sviluppo della persona nella sua dignità e unicità nella concretezza di un contesto politico-sociale.

L ‘autorità politica ha il compito di organizzare e attuale queste condizioni. In pratica, senza il riconoscimento e la difesa dei diritti umani e senza un “pacchetto” di beni essenziali, nessuno può vivere serenamente e dare il meglio di sé. E neppure la società in cui vive può sviluppare le sue potenzialità in un contesto di vita sereno e affidabile.

Anche questa nuova formulazione del concetto di bene comune è stato fortemente criticata da chi ritiene la dirigenza politica espressione del rapporto di forza fra gruppi contrapposti che cercano solo il proprio interesse, e che trovano dei punti di equilibrio variabili nel tempo (Lobbies). Questi critici non sono evidentemente molto interessati agli strati più deboli della popolazione, ma al “gioco” dei poteri forti.

Inoltre, alcuni hanno criticato il concetto di bene comune perché nato nel contesto della cultura europea e quindi soggetto ai limiti culturali dell’eurocentrismo.

Altri hanno fatto notare che quest’idea si è sviluppata nel quadro concettuale degli stati  nazionali e non nell’attuale mondo totalmente irrelato e globalizzato e, di conseguenza, andrebbe ripensata a livello planetario.

In realtà il concetto di bene comune inteso come “insieme di condizioni concrete” si sta riproponendo in forme nuove con grande forza, nei termini di beni comuni irrinunciabili in quanto assolutamente necessari alla famiglia umana e alla sua sopravvivenza.

Biologi, economisti e filosofi contemporanei si interrogano infatti sulle condizioni che rendono possibile un futuro per il genere umano o che, al contrario, creano gli elementi che causeranno la sua scomparsa.

Hans Jonas, ad esempio, nel suo “Principio responsabilità” argomenta il primato dell’essere e della vita sul non essere e sulla morte, ed indica come nuovo imperativo categorico la salvaguardia della possibilità di esistenza per le generazioni future.

In questo quadro vengono definite categorie di beni comuni da cui dipende la vita sulla terra, e prima fra tutte,  quella che comprende acqua, atmosfera, terra (con le relative risorse in termini di foreste e prodotti agricoli).

Vengono anche individuati altri gruppi di beni comuni, oltre alle risorse naturali sopra indicate, come quelli costituiti dalla cultura, dalla conoscenza, da internet, dai brevetti (soprattutto quelli relativi ad alcuni farmaci essenziali per la sopravvivenza), ecc.

La logica che  evidenzia l’importanza dei beni comuni, come prerequisito fondamentale per la vita e per il godimento dei diritti fondamentali inerenti ad ogni essere umano, si scontra con la logica dominante che sostiene il primato assoluto del mercato e la mercificazione di tutte le cose.  Si fronteggiano due diverse visioni del mondo e dell’uomo. La questione ha dimensioni planetarie e innumerevoli risvolti a livello locale.

Già la Centesimus annus aveva individuato tanti “bisogni umani” che non hanno accesso al mercato (n.40): questo infatti  non è interessato alle richieste di chi non ha disponibilità economica e, inoltre, è sempre  rivolto, nelle sue scelte di produzione, alla massimizzazione del profitto e non alla realizzazione di ciò che è più utile alle persone.

Papa Francesco, approfondendo l’argomentazione, parla di un’economia dell’esclusione e dell’inequità, di una economia che uccide (E.G. n.53), di una nuova spietata versione dell’adorazione del vitello d’oro (E.G. n. 55). E tante volte ha invitato a rispettare e custodire la creazione, il mondo, l’ambiente in cui viviamo.

Per i credenti i “beni comuni” sono la creazione, i doni di Dio alla famiglia umana: da questa chiarezza di visione nasce l’ esigenza di cercare creativamente vie per salvaguardare la terra e le generazioni future. Nasce anche la necessità di una costante attitudine critica verso poteri senza volto autoreferenziali (come le attività finanziarie speculative) che calpestano e ignorano il valore di ogni vita.

La difesa e la cura dei beni comuni può inoltre costituire  un fondamentale terreno di incontro tra persone di diverse culture e religioni, unite dall’intuizione della bellezza della vita e dalla capacità di amare.


Paola

 

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