LIBERTA’ : J’ÉCRIS TON NOM



J’écris ton nom, scrivo il tuo nome. Molti aficionados di “Una Nuova Babele” avranno senz’altro riconosciuto l’ultimo verso delle strofe – eccezion fatta per quella finale – della celebre poesia “Liberté”, composta da Paul Éluard negli anni della Seconda Guerra Mondiale.

Diversi critici ne hanno letto il contenuto non solo come “poema della Resistenza”, contenente un messaggio di lotta per un ideale di speranza nella sua martoriata Patria contemporanea, ma anche quale inno alla vita, alla pienezza di tutti gli istanti delle varie stagioni dell’esistenza umana.

Per altri ancora, non si tratta soltanto di una reale presa di posizione per la libertà sottratta agli individui dalla guerra, ma forse – e soprattutto – di quella “Libertà” che ciascuno deve acquisire o ritrovare, la cui ricerca è infinita.

Éluard vi menziona numerosi “luoghi di scrittura”, concreti e immaginari, rivendicando la volontà di fissare la parola a lui cara su qualsiasi supporto possibile, con i più svariati strumenti (perfino incidendo la pietra, con la cenere o con il sangue), e di decorare con essa il mondo come fosse un immenso graffito.

Fra i suddetti “luoghi di scrittura” il poeta include oggetti della propria infanzia ricordati con affetto (per esempio, il suo quaderno di scolaro), ma anche i suoi amici, il suo cane, il proprio letto, le pagine di libri e giornali, i campi, le campane. Elementi naturali, cosmici e anche simbolici sottolineano la volontà dell’Autore di creare una sorta di simbiosi tra la Libertà, l’Uomo e ciò che lo circonda.

Questo inno laico alla vita e all’apertura verso il mondo, privilegiando e rivendicando quel diritto-dovere consistente “nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri” (cf. Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, 1791) è suscettibile di fungere efficacemente da spunto di riflessione sul tema odierno, anche nell’ottica cristiana (“La libertà è il respiro del Vangelo. All'avvicinarsi di Cristo si deve sentire aria di libertà”, P. Ermes Ronchi, 2004).

Mi permetto dunque di iniziare con alcune osservazioni, ispirate da qualche termine caro a Éluard, alla luce della mia esperienza e di uno sguardo critico sulla società contemporanea.

Vorrei utilizzare anch’io i cahiers (quaderni) scolastici per scrivervi un appello alla libertà del diritto allo studio, ancora oggi vituperato in vari modi e perfino negato, in molti Paesi, specie alle donne, che a volte soccombono nel tentativo di raggiungere l’effettiva parità con l’uomo.

Nella versione in lingua italiana di Franco Fortini, la parola “pupitre” è stata tradotta con il termine “cattedra”, altri colleghi invece hanno preferito adottare, con riferimento ai “cahiers”, l’equivalente “banco”, anche al plurale. Per le mie riflessioni, le userò entrambe. La prima, alludendo al grande privilegio di veicolare le proprie opinioni e di testimoniare i valori in cui si crede dal posto conquistato – si spera, senza scendere a compromessi e non intenzionati a mantenerlo a vita, privandone i più giovani – grazie ai propri meriti professionali o all’impegno socio-politico. La seconda, pensando all’enorme rischio di soggiogare i più deboli o a quello di lasciarsi influenzare da falsi profeti e da falsi idoli, magari per fini utilitaristici o illudendosi di poter conquistare più facilmente un’ampia libertà in vari ambiti.

Mi piacerebbe che “i figli di oppressi e oppressori” (mutuando le parole di un canto ispirato a I dream di M.L. King) usassero “les armes des guerriers” (le armi da guerra) non come supporto per scrivere la parola che sancisce, per chiunque, il vero inizio della vita, bensì come materiali da riciclare, fabbricando oggetti utili al progresso e al fabbisogno quotidiano.

Sur la mer”, “sur les bateaux” (sul mare, sulle barche) hanno già scritto la parola “libertà” – spesso, davvero con il sangue – le migliaia di migranti che hanno rischiato la vita per raggiungere le coste italiane. Ha invocato libertà anche Papa Francesco, celebrando il sacrificio eucaristico su un altare nato dai relitti e pregando, di certo, anche per le vittime di ogni sorta di abuso e per i loro carnefici. Non solo l’uomo cosiddetto “potente”, insaziabile di dominio e di denaro, ma tutti gli individui dovrebbero spogliarsi delle tante “corone dei re” (anch’esse menzionate dal poeta) che li rendono, in modi diversi, schiavi delle proprie paure, dei propri istinti, dei propri pregiudizi, dei propri vizi, delle proprie brame, delle proprie verità distorte, perfino del proprio credo religioso. Ogni parola, ogni firma, ogni patto scellerato di molti cancella innumerevoli volte la parola “libertà” in nome del denaro, della menzogna, di patti scellerati, di ogni sorta di sfruttamento, considerati ahimè semplici optional per la scalata verso il successo. Desideriamo dunque far morire la libertà “sotto scroscianti applausi” (cf. Star Wars: Episodio III, 2005)?

L’essere umano che, in nome della “libertà-progresso”, continua a inquinare gli ecosistemi e a disboscare intere foreste, che diventa sempre più sordo al grido di affamati e assetati, si è davvero reso conto di aver imprigionato la natura e se stesso? “La meraviglia delle notti”, “il pane bianco dei giorni”, “il lago”, “l’azzurro”, “l’aurora”, “le nuvole”, “la giungla”, “il deserto”, “la pioggia” continuano ancora a ispirare pensieri e sogni di infinito. Che rischiano gravemente di essere infranti e di generare, al di là di ogni ragionevolezza e di presunta libertà di azione, un punto di non ritorno.

Prima di concludere sceglierò ancora un “luogo”, questa volta non menzionato da Éluard, sul quale scrivere la parola “Libertà”. Vorrei citarne davvero tanti, magari largamente condivisibili! Ne evocherò uno ormai lontano nel tempo, ma vicino nello spirito, che spero di poter visitare ancora. Vent’anni fa, a Cordoba, ho gravato con la forza del pensiero tanti desideri di libertà proprio sulla tomba di Victoria Díez, appoggiandovi sopra il mio inseparabile marsupio. Adesso, nel medesimo luogo, con esigenze diverse ma conservando la spontaneità di una volta, “scriverei” sfiorando il marmo con un dito e, con lo stesso strumento utilizzato dalla Santa negli ultimi istanti della sua vita – la voce – pronuncerei a voce alta il suo monito di incoraggiamento, rivolto a me stessa e a tutti coloro che condividono i miei ideali: “¡Ánimo compañeros, qué la vida puede más!”

“Libertà” è indubbiamente una parola dai molteplici significati, elaborati fin dall’epoca della Grecia Classica, in merito alla quale hanno argomentato nelle varie epoche illustri pensatori, artisti e gente comune, associandola spesso ad altre esigenze fondamentali della società umana. Questo concetto si presta ancor oggi, in maniera più che mai urgente, a molteplici riflessioni non esaustive, negli ambiti disciplinari e contestuali più disparati.

Vi farebbe piacere enumerare uno o più “luoghi”, reali o immaginari, su cui scrivereste la parola “Libertà”, motivandone la scelta? Allora, a voi la tastiera!



Maria Serafina

 

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